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"Elettrosmog": tra narrazione popolare ed evidenze scientifiche

  • Immagine del redattore: Matteo Manzi
    Matteo Manzi
  • 4 set
  • Tempo di lettura: 6 min

ragazzo che urla guardando le onde trasmesse da un ripetitore

L’idea di scrivere questo articolo nasce dalla lettura di un passaggio su una rivista del settore del design negli spazi lavorativi, in cui i campi elettromagnetici venivano citati come possibile fonte di malessere negli ambienti di lavoro. Si tratta di un tema che appare e scompare ciclicamente nel dibattito: invisibile, poco comprensibile e per questo percepito come potenzialmente pericoloso. Ho voluto pertanto approfondire l'argomento e fare chiarezza, ricostruendo sia la narrazione diffusa che le evidenze scientifiche consolidate perché trovo un po' preoccupante che venga citato anche in contesti che possono influenzare numerosi professionisti della progettazione degli ambienti.


Che cosa sono i campi elettromagnetici


Una distinzione cruciale inziale da fare è quella fra radiazioni ionizzanti (raggi X, raggi gamma, UV ad alta energia), che possono danneggiare direttamente il DNA, e radiazioni non ionizzanti (NIR, Non-Ionizing Radiation), categoria in cui rientrano i CEM di cui si discute. Queste ultime non hanno l’energia necessaria per ionizzare gli atomi e dunque non possono provocare effetti biologici paragonabili a quelli delle radiazioni ionizzanti.


Con il termine campi elettromagnetici (CEM) si indicano nello specifico fenomeni fisici generati da sorgenti elettriche e magnetiche. Si dividono in due grandi categorie:

  • Campi a bassa frequenza (ELF, Extremely Low Frequency), tipici degli elettrodotti e degli impianti elettrici domestici e industriali (50 Hz in Europa);

  • Campi ad alta frequenza (RF, Radiofrequency), che comprendono radio, televisione, telefoni cellulari, Wi-Fi, forni a microonde e reti 5G.


I meccanismi conosciuti con cui i CEM interagiscono con i tessuti sono due:

  • Effetti termici: a potenze molto elevate, come nei forni a microonde, i tessuti assorbono energia e si riscaldano. I limiti normativi servono a prevenire qualsiasi riscaldamento significativo.

  • Correnti indotte: campi magnetici molto intensi a bassa frequenza possono generare correnti interne, stimolando nervi e muscoli. Anche in questo caso, si tratta di livelli ben più alti rispetto alle esposizioni comuni.



illustrazione fantasiosa di un'onda elettromagnetica

La narrazione pubblica: ansie, sintomi e mercato


Il termine “elettrosmog” evoca l’immagine di una nebbia invisibile e onnipresente. Questa metafora contribuisce a generare ansia: non vediamo i CEM, non possiamo evitarli e l’esposizione è quindi spesso involontaria. È un contesto ideale per alimentare percezioni di rischio sproporzionate.


Nei forum, nei blog e nei media si trovano racconti di sintomi attribuiti ai CEM: mal di testa, insonnia, difficoltà di concentrazione, tachicardia, ansia. Alcuni parlano di patologie più gravi: tumori cerebrali, leucemie infantili, Alzheimer, infertilità. In questo scenario si inserisce anche il fenomeno dell’ipersensibilità elettromagnetica (EHS, Electromagnetic Hypersensitivity): persone che dichiarano di avvertire sintomi immediati in presenza di dispositivi elettrici o wireless. Gli studi hanno però dimostrato che tali disturbi (spesso effettivamente reali e invalidanti) non dipendono dai CEM, bensì dall’effetto nocebo: la convinzione stessa di essere esposti scatena i sintomi.


Accanto a questa narrazione si è sviluppato ovviamente un mercato florido e redditizio di prodotti “protettivi”: adesivi per smartphone, lampade schermanti, vernici, carte da parati e dispositivi che promettono di “armonizzare le onde”. Il linguaggio è spesso pseudo-scientifico e si appoggia su paure reali ma non suffragate da dati.


Normative e limiti di esposizione


Gli enti scientifici internazionali hanno definito soglie di sicurezza per prevenire effetti acuti noti. L’ICNIRP (International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection) è il principale organismo di riferimento, le cui linee guida vengono adottate anche dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e dall’Unione Europea.


Per esempio:

  • RF (900 MHz – telefonia GSM, Global System for Mobile Communications): 41 V/m (volt per metro) come limite UE; in Italia il limite è 20 V/m, con un valore di attenzione di 15 V/m.

  • Wi-Fi (2,4 GHz): 61 V/m UE; 40 V/m in Italia, con attenzione a 15 V/m.

  • 5G (3,7 e 26 GHz): 61 V/m UE; 40 V/m in Italia, con attenzione a 15 V/m.

  • ELF (50 Hz, elettrodotti): 100 µT (microtesla) UE e Italia; con valore di attenzione a 10 µT e obiettivo di qualità a 3 µT.


La legislazione italiana, con i suoi "valori di attenzione" molto restrittivi, rappresenta una chiara applicazione del principio di precauzione. Se da un lato questa scelta politica mira a offrire la massima tutela possibile di fronte all'incertezza scientifica, dall'altro può avere l'effetto paradossale di alimentare la percezione pubblica del rischio, suggerendo che le autorità nutrano preoccupazioni maggiori di quelle basate sulle evidenze scientifiche.



visuale di un ufficio luminoso e rilassante con piante e toni neutri

Uffici e ambienti di lavoro: un rischio concreto?


La domanda è legittima: in un open space con decine di computer, telefoni, router Wi-Fi, le esposizioni possono sommarsi fino a superare i limiti? Tecnicamente i campi possono sommarsi, ma è pressoché impossibile che si arrivi a valori superiori ai limiti normativi. Ogni sorgente emette a frequenze diverse e con potenze molto basse. I campi si combinano in modo vettoriale e decrescono rapidamente con la distanza. La postazione accanto contribuisce pochissimo alla tua esposizione rispetto al laptop o al telefono sulla scrivania.

Misure in ambienti interni mostrano valori milioni (!) di volte inferiori ai limiti di legge. Per il Wi-Fi, ad esempio, la mediana rilevata in vari studi è circa 1,5 µW/m² (microwatt per metro quadrato), contro i 10 W/m² (watt per metro quadrato) consentiti: un fattore di differenza di circa sette milioni. Anche per i campi a 50 Hz le esposizioni in ufficio sono centinaia di volte inferiori ai limiti.


Le normative sul lavoro (Direttiva europea 2013/35/UE) confermano che negli uffici standard non sono necessarie misure specifiche: i rischi riguardano contesti industriali e medicali ad alta esposizione, come saldature, forni industriali o apparecchiature per risonanza magnetica.


Le evidenze scientifiche


Dopo decenni di ricerca, il consenso scientifico è chiaro: non ci sono prove convincenti che l’esposizione quotidiana ai CEM, entro i limiti di legge, provochi danni alla salute.


Le aree più indagate sono:

  • Tumori cerebrali e uso del cellulare: alcuni studi hanno ipotizzato un lieve aumento di rischio per grandi utilizzatori, ma i dati epidemiologici a livello di popolazione non confermano un incremento dell’incidenza di tumori. L’IARC (International Agency for Research on Cancer) ha classificato nel 2011 i campi RF come “possibilmente cancerogeni” (Gruppo 2B). È fondamentale comprendere il significato di questa classificazione. Il Gruppo 2B non indica che un agente causa il cancro, ma piuttosto che le prove scientifiche sono considerate insufficienti per una conclusione definitiva. Nello specifico, questa categoria viene utilizzata quando esiste un'"evidenza limitata" di cancerogenicità negli esseri umani e un'"evidenza inadeguata" negli animali da esperimento. Per contestualizzare, altri agenti classificati nel Gruppo 2B includono l'estratto di aloe vera, le verdure in salamoia e il caffè.

  • Leucemia infantile ed elettrodotti: alcuni studi mostrano un’associazione statistica debole per esposizioni residenziali superiori a 0,3–0,4 µT, ma senza un meccanismo biologico plausibile. Anche in questo caso l’IARC ha scelto la classificazione 2B.

  • Effetti riproduttivi e cognitivi: non esistono prove solide che colleghino i CEM quotidiani a infertilità, problemi nello sviluppo fetale o disturbi cognitivi. Alcuni studi riportano lievi effetti in vitro o su animali a dosi molto elevate, non rappresentative delle esposizioni reali.

  • Stress ossidativo e salute mentale: l’ipotesi che i CEM aumentino la produzione di radicali liberi non ha trovato conferme consistenti negli esseri umani. Alcuni studi occupazionali hanno riportato disturbi del sonno o stress in contesti di alta esposizione, ma non ci sono evidenze per livelli tipici da ufficio o abitazione.



visuale ravvicinata di un router wifi in una stanza rilassante con legno e colori neutri

Narrazione vs realtà


Perché allora la paura è così radicata? Perché il rischio è invisibile, non controllabile e spesso raccontato in modo allarmistico. Ogni nuova tecnologia (dal Wi-Fi al 5G) è stata accompagnata da ondate di sospetti e complotti, come dimostrano gli episodi di vandalismo contro le antenne 5G durante la pandemia. Questi allarmi prosperano anche perché offrono spiegazioni semplici a sintomi comuni e alimentano un mercato di soluzioni pseudo-scientifiche.

La comunità scientifica, al contrario, invita alla cautela ma non all’allarmismo: i margini di sicurezza sono ampi, gli studi continuano, e i veri rischi per la salute derivano da fattori ben più concreti come l’inquinamento atmosferico, la sedentarietà, il fumo o l’alimentazione scorretta.


Il caso del protocollo WELL


Un ulteriore elemento interessante proviene dal mondo della certificazione edilizia. Il WELL Building Standard – protocollo internazionale basato su evidenze scientifiche per valutare il benessere negli edifici – non include alcun prerequisito né ottimizzazione che riguardi specificamente la misurazione, la gestione o la riduzione dell’inquinamento elettromagnetico (CEM). Questo è un dato significativo: WELL è un protocollo che integra aspetti di qualità dell’aria, acqua, luce, acustica, comfort termico, psicologico e comunitario ma non considera l’elettrosmog come fattore rilevante per la salute umana, proprio perché le evidenze scientifiche non supportano la necessità di includerlo.


ragazzo che lavora al computer in un ambiente luminoso, rilassante con alcune piante in vaso

Monitoraggio ma non allarmismo


Parlare di “elettrosmog” nei luoghi di lavoro può sembrare un modo di avvicinare il tema della salute occupazionale a preoccupazioni diffuse. Tuttavia, le evidenze ci dicono che negli uffici e nelle case le esposizioni sono enormemente inferiori ai limiti di sicurezza, e che non vi sono prove di effetti nocivi legati a queste condizioni.

Il tema rimane oggetto di studio e monitoraggio: le classificazioni prudenziali della IARC e le ricerche in corso invitano a non archiviare la questione. Ma oggi, sulla base delle conoscenze disponibili, possiamo dire con ragionevole certezza che l’ “elettrosmog” quotidiano non rappresenta un pericolo accertato per la salute. Continuare a informare in modo chiaro e basato su dati è il modo migliore per evitare che la paura dell’invisibile distolga l’attenzione dai rischi reali e documentati.

 

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