WELL Building Standard: un metodo scientifico per progettare spazi che migliorano benessere e performance
- Matteo Manzi

- 6 minuti fa
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Il WELL Building Standard nasce ufficialmente nel 2014 negli Stati Uniti, sviluppato dall’International WELL Building Institute (IWBI) a partire dal lavoro di Delos e da un gruppo piuttosto eterogeneo di professionisti: medici, ricercatori, architetti, ingegneri, ergonomi e psicologi ambientali. L’idea alla base è semplice ma radicale: spostare il focus della progettazione dagli edifici in quanto oggetti, alle persone che li abitano, lavorano e si curano al loro interno.
Nel corso degli anni lo standard è stato aggiornato alla luce delle nuove evidenze scientifiche e dell’esperienza accumulata fino all’attuale versione WELL v2, una piattaforma unica e in continua evoluzione. Non è quindi un documento statico, ma uno strumento vivo, che cresce insieme alle conoscenze su salute, benessere e ambiente costruito.
Un aspetto che voglio già sottolineare è come il protocollo sia liberamente consultabile da chiunque: l’intero standard è disponibile online, senza costi di accesso, sul sito di IWBI. Questo significa che anche chi non ha intenzione di ottenere una certificazione può comunque utilizzare WELL come guida strutturata per migliorare i propri spazi.
Che cos’è il WELL nel dettaglio
Il WELL Building Standard si fonda su sei principi che ne guidano la struttura e l’evoluzione: è equo, globale, basato su evidenze, tecnicamente robusto, orientato al cliente e resiliente.
È equo perché pone attenzione alla possibilità che il benessere generato dagli edifici sia accessibile al maggior numero di persone possibile, incluse e in particolare popolazioni svantaggiate o vulnerabili. È globale perché è pensato per essere applicabile in contesti culturali, climatici e normativi diversi. È basato su evidenze perché le sue richieste derivano da studi scientifici e linee guida autorevoli, non da intuizioni o mode del momento.
È tecnicamente robusto perché richiede misurazioni, soglie e verifiche oggettive su parametri specifici. È orientato al cliente perché tiene conto dei vincoli reali di chi progetta, gestisce e occupa gli edifici, offrendo spesso più percorsi alternativi per raggiungere lo stesso obiettivo. Infine, è resiliente perché è costruito per potersi aggiornare nel tempo, integrando nuove conoscenze e nuove priorità.
WELL v2 è organizzato in dieci concetti: Air, Water, Nourishment, Light, Movement, Thermal Comfort, Sound, Materials, Mind e Community. All’interno di questi concetti troviamo 24 precondition obbligatorie, che rappresentano la base minima di qualità, e un insieme di optimization che permettono di accumulare punti fino a un massimo di 100. A questi si aggiunge la categoria Innovation, che consente di ottenere fino a 15 punti bonus premiando soluzioni particolarmente avanzate o nuove evidenze.
Lo standard distingue inoltre tra progetti Owner-occupied, dove chi certifica occupa direttamente gran parte dell’edificio, e progetti WELL Core, pensati per gli sviluppatori che forniscono spazi a più conduttori diversi. I livelli di certificazione ottenibili sono quattro (Bronze, Silver, Gold e Platinum) e dipendono dal numero di punti complessivi raggiunti (40-50-60-80), purché tutte le precondition richieste siano soddisfatte.
WELL è applicabile a un’ampia gamma di tipologie: edifici residenziali, uffici, spazi commerciali, scuole, strutture sanitarie, luoghi pubblici. In questo senso non è una nicchia specialistica, ma una cornice che può guidare la trasformazione di qualunque ambiente in cui le persone trascorrono una parte significativa della propria giornata.

Perché è importante
Parlare di WELL significa, prima di tutto, parlare di persone. Quando guardiamo ai costi complessivi di un edificio nel suo ciclo di vita, scopriamo che quelli legati al personale superano di gran lunga tutte le altre voci: diversi report internazionali, come quelli del World Green Building Council e di Terrapin Bright Green, stimano che circa il 90% dei costi operativi di un’azienda sia legato alle persone (stipendi, benefit, formazione), mentre l’energia pesa intorno all’1% e l’affitto attorno al 9%. In altre parole, anche piccoli miglioramenti nella salute, nella motivazione e nella produttività delle persone hanno un impatto economico enorme.
Nel frattempo, a livello globale, il carico di malattia associato ai disturbi mentali e allo stress lavoro-correlato è in aumento. Se guardiamo agli anni di vita in salute persi (DALY), la quota attribuibile a ansia, depressione e condizioni affini è cresciuta dal 1990 al 2019. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che depressione e ansia facciano perdere ogni anno circa 12 miliardi di giornate lavorative, per un costo di circa 1.000 miliardi di dollari l’anno in produttività persa.
Anche restringendo lo sguardo all’Europa, il quadro non cambia molto: malattie e infortuni lavoro-correlati hanno un costo complessivo stimato superiore al 3,3% del PIL dell’Unione, tra giornate di assenza, presenteismo e uscite premature dal lavoro. Le indagini europee più recenti indicano che circa un terzo dei lavoratori riferisce stress, ansia o depressione causati o peggiorati dal lavoro, con conseguenze dirette su errori, performance, clima interno e turnover.
In parallelo, negli ultimi anni abbiamo assistito a una proliferazione di certificazioni ambientali come LEED, BREEAM e altre, che hanno avuto il merito di spingere il settore edilizio a interrogarsi su consumi energetici, emissioni e impatti sul clima. È un passaggio necessario e non negoziabile, tuttavia rischiamo di dimenticare che l’“ambiente interno” in cui le persone vivono e lavorano quotidianamente è altrettanto decisivo per la salute.
WELL rimette al centro il capitale umano e il benessere quotidiano degli occupanti. Le indagini post-occupazione sugli edifici certificati WELL mostrano aumenti medi di circa il 30% nella soddisfazione per lo spazio, del 26% nel benessere percepito e intorno al 10% nella produttività auto-riferita. Ovviamente sono cifre che non esauriscono la complessità dei contesti reali, indicano però una tendenza chiara: quando la qualità dell’ambiente costruito migliora in modo sistematico, le persone se ne accorgono e questo si traduce in un miglior funzionamento.
Infine, la certificazione WELL ha anche una dimensione strategica per le organizzazioni: i progetti certificati possono essere inseriti nei portali e nelle comunicazioni internazionali di IWBI, diventando casi studio e riferimenti virtuosi per il proprio settore o territorio. Oltre al riconoscimento, questo contribuisce ad aumentare l’attrattività economica del progetto, sia verso i talenti sia verso investitori e stakeholder attenti ai temi ESG.

Perché merita più attenzione
A mio avviso, il WELL Building Standard meriterebbe molta più attenzione di quanta ne riceva oggi, soprattutto nel contesto europeo e italiano. Il primo motivo è la solidità del suo impianto: le richieste non si basano su impressioni o dichiarazioni di intenti, ma su dati quantitativi, soglie misurabili e policy definite. Questo non elimina la necessità di interpretare e adattare, ma riduce la dipendenza da valutazioni puramente soggettive o indici ancora poco verificati.
Un secondo elemento, spesso sottovalutato, è l’accessibilità del protocollo. A differenza di molte scale proprietarie o di strumenti utilizzabili solo a pagamento, WELL è consultabile gratuitamente. Questo permette di usarlo come vera e propria checklist operativa, un asset strategico per migliorare gli spazi, anche senza intraprendere subito un percorso di certificazione.
Altro punto a cui tengo particolarmente è l'approccio realmente olistico. WELL non si limita all’ambiente fisico, ma include anche benefit, politiche aziendali, cultura organizzativa, formazione, comunicazione interna. Questo significa riconoscere che la qualità dell’aria o della luce, da sole, non bastano se le persone non hanno margini di autonomia, possibilità di pausa, supporto psicologico, strumenti per sentirsi parte di una comunità di lavoro sana.
Allo stesso tempo, pur essendo molto strutturato e ricco di soglie e requisiti, lo standard è sorprendentemente flessibile. Spesso offre più opzioni per raggiungere lo stesso obiettivo e contempla metodi alternativi quando esistono soluzioni equivalenti, purché supportate da evidenze. Questo permette di adattare le strategie alla realtà di ciascun progetto (e di ciascuna parte del mondo), invece di imporre un’unica strada uguale per tutti.
Infine, rispetto ad altri contesti come quello statunitense, il quadro normativo in Italia in tema di salute e sicurezza sul lavoro, qualità degli ambienti e protezione dei lavoratori è già piuttosto avanzato. Questo significa che, in molti casi, una parte consistente dei requisiti WELL è già coperta dalle leggi vigenti o dalle buone pratiche consolidate. In uno scenario ufficio-tipo, questo può tradursi in circa 11 delle 24 precondition già soddisfatte con poco o nullo sforzo aggiuntivo e in una base di circa 30–35 punti potenzialmente raggiungibili quasi “di default”.
Per me è proprio qui che si gioca una grande opportunità: utilizzare WELL non come un ostacolo in più, ma come una lente che permette di valorizzare ciò che già facciamo bene, colmare i vuoti e rendere più leggibile anche verso l’esterno l’impegno per il benessere reale delle persone.

Che cos’è un WELL AP
All’interno di questo quadro, la figura del WELL Accredited Professional (WELL AP) ha il compito di fare da ponte tra lo standard e la realtà concreta dei progetti. La qualifica di WELL AP attesta che una persona ha acquisito una conoscenza approfondita del WELL Building Standard, della sua struttura, dei requisiti tecnici e delle logiche con cui viene applicato e verificato nei diversi tipi di edifici.
Per ottenere la credenziale è necessario superare un esame internazionale che verifica sia la comprensione teorica dello standard, sia la capacità di orientarsi tra i concetti, le feature, le precondition e le optimization, oltre che la familiarità con il processo di certificazione. Non si tratta semplicemente di “sapere a memoria” delle soglie, ma di saper leggere il progetto attraverso la lente di WELL e di comprendere quali strategie possano essere più efficaci per raggiungere gli obiettivi di salute e benessere in un determinato contesto.
Nella pratica, se l’obiettivo è ottenere la certificazione, il WELL AP aiuta proprietari, progettisti, facility manager, HR e consulenti a dialogare tra loro, a tradurre i requisiti dello standard in scelte progettuali e gestionali, a organizzare la documentazione necessaria e a preparare il progetto alla verifica finale. È una figura di coordinamento, ma anche di interpretazione.
Allo stesso tempo, un WELL AP è utile anche quando non c’è l’intenzione di certificare formalmente un edificio. In questo caso, lo standard diventa una sorta di quadro di riferimento che permette di individuare i punti di forza e di debolezza di uno spazio esistente, e in base al budget e alla volontà della direzione, di progettare interventi mirati su più fronti.
Nel mio caso, essere WELL AP significa integrare questo tipo di sguardo con gli strumenti della psicologia ambientale, del biophilic e del restorative design. Significa usare WELL non come fine in sé, ma come struttura solida su cui innestare strategie che aiutino davvero le persone a recuperare attenzione, ridurre il carico di stress, sentirsi più a proprio agio e più supportate dagli spazi che vivono ogni giorno. Che si tratti di un ufficio, di uno spzio ad alto carico cognitivo o di un altro ambiente, l’obiettivo finale resta sempre lo stesso: progettare luoghi che restituiscano energia invece di consumarla.




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