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Psicologia ambientale e architettura contemporanea: Il divario tra evidenze scientifiche e prassi edilizia



Da una semplice passeggiata nei dintorni del centro storico di Padova mi è sorta una riflessione sulla quale forse ci si interroga ancora troppo poco.

Osservando l’edilizia residenziale ho notato un contrasto evidente tra molti edifici di nuova costruzione e quelli risalenti a epoche o anni precedenti. I primi appaiono spesso caratterizzati da facciate monocromatiche, forme elementari e finiture uniformi; i secondi, viceversa, presentano varietà di materiali, cromatismi più caldi e una maggiore complessità architettonica. Tali divergenze suggeriscono la persistenza di un divario tra l’ampia letteratura in tema di psicologia ambientale – che evidenzia il potere di alcuni elementi spaziali e materici nel favorire il benessere – e le attuali prassi costruttive, che in molti casi sembrano ignorare tali evidenze.

L’obiettivo di questa riflessione è analizzare brevemente le basi teoriche della psicologia ambientale e del design biofilico, confrontandole con la realtà edilizia contemporanea, al fine di individuare possibili strategie per colmare il divario tra ciò che la ricerca suggerisce e ciò che viene effettivamente realizzato. Le considerazioni si riferiscono esclusivamente all’aspetto esteriore degli edifici, senza entrare nel merito degli interni o delle performance energetiche, aree che non sono qui direttamente analizzabili.


Il divario tra teoria e prassi

Gli sviluppi più recenti nell’ambito della psicologia ambientale, delle neuroscienze applicate all’architettura e del design biofilico confermano l’influenza rilevante di forme, materiali e configurazioni spaziali sul benessere psicofisico dell’utente. Tuttavia, osservando numerosi contesti edilizi attuali, emerge chiaramente come tali conoscenze rimangano spesso marginali o totalmente inapplicate.

Diversi autori hanno esplorato i nessi tra forme architettoniche e percezione umana, con un’attenzione particolare alla complessità strutturata delle facciate. Tra questi si distingue il lavoro di Nikos A. Salingaros, che ha proposto un’interpretazione della progettazione architettonica (Salingaros & Masden, 2008). Secondo questa prospettiva, l’organizzazione modulare e gerarchica delle forme non costituisce mero ornamento, bensì un requisito essenziale per generare risonanza emotiva e cognitivamente appagante. In tale visione, una facciata ben articolata possiede un “linguaggio” matematico di proporzioni, pattern, simmetrie e variazioni, in grado di incontrare le inclinazioni percettive e biologiche dell’essere umano. Al contrario, superfici uniformi e prive di segni distintivi tendono a inibire l’interazione visiva e a generare un senso di estraneità o monotonia.

L’adozione di soluzioni “minimaliste” o “razionaliste” – che talvolta rappresentano semplificazioni di correnti moderniste – produce palazzi dalle pareti lisce e uniformi, dai toni grigi, privi di texture e di elementi decorativi che possano favorire un coinvolgimento sensoriale più ricco.





Alcuni principi di psicologia ambientale e biophilic design a cui attingere

La letteratura in materia di psicologia ambientale individua alcuni punti chiave che contribuiscono a migliorare la percezione di un edificio e, di conseguenza, il benessere dei suoi fruitori:


  1. Complessità organizzata: L’essere umano mostra una preferenza per ambienti che presentino un livello moderato di complessità, percepita come “organizzata” o coerente. Tale principio evidenzia come pattern geometrici, ripetizioni ritmiche e variazioni armoniche di forme possano generare un effetto di coinvolgimento estetico ed emozionale. L’assenza di tali variazioni, al contrario, riduce l’esperienza percettiva a uno stimolo uniforme, che tende a suscitare noia o distacco sensoriale.

  2. Presenza di richiami naturali: Il design biofilico valorizza l’uso di materiali come legno e pietra, ma anche la presenza di vegetazione integrata nella struttura edilizia e l’impiego di pattern ispirati alla natura. Persino la semplice variazione nella profondità delle facciate o l’inserimento di logge e balconi verdeggianti può incrementare il senso di connessione con l’ambiente esterno e con la natura.

  3. Geometrie frattali e affinità biologica: I frattali, caratterizzati da ripetizioni di pattern a scale differenti, rispecchiano principi di auto-somiglianza presenti anche in fenomeni naturali (come le ramificazioni degli alberi o le forme dei cristalli). Questa struttura, oltre a generare una percezione di ricchezza formale, sembra corrispondere a una predisposizione innata dell’essere umano per pattern gerarchici e auto-simili. In un contesto di design biofilico, l’inserimento di elementi frattali in facciata promuove una sensazione di “ordine complesso” che migliora il benessere e l’interesse cognitivo (Joye, 2007).

  4. Risonanza emotiva e memorie collettive: Alcuni edifici storici incorporano stilemi e materiali che richiamano radici culturali profonde. Questo aspetto, benché non sempre riconosciuto a livello conscio, suscita senso di familiarità e di appartenenza che si manifesta con l'attaccamento al luogo e a comportamenti proattivi per il mantenimento di cura per il luogo stesso.


Aspetti critici e prospettive di integrazione

Le ragioni di un tale disallineamento tra evidenze scientifiche e pratica edilizia sono sicuramente molteplici ma forse possiamo individuarne alcuni sistemici:


  • Vincoli economici e normativi: L’ottimizzazione dei costi e l’adeguamento a normative spesso stringenti in materia di isolamento, sicurezza e risparmio energetico possono spingere verso scelte progettuali semplificate. La valorizzazione di elementi sensoriali e percettivi è talvolta percepita come marginale, se non superflua.

  • Formazione accademica lacunosa: Molti corsi di laurea in architettura e ingegneria non prevedono insegnamenti approfonditi su psicologia ambientale e neuroscienze dello spazio, limitando l’esposizione degli studenti a tali discipline.

  • Ricerca interdisciplinare frammentata: Il dialogo tra architettura, psicologia, biologia ed ergonomia non è sempre sistematico. La contaminazione tra saperi, essenziale per l’approccio biofilico e restorativo, rimane spesso confinata a iniziative isolate o a progetti sperimentali.

  • Diffidenza nella psicologia e nelle neuroscienze: Purtroppo in alcuni contesti persiste uno scetticismo verso le scienze che forniscono una minor frequenza di dati quantitativi o che vengono percepite come estranee al contesto. Tale diffidenza, tuttavia, trascura il crescente corpus di ricerche empiriche che dimostra come i fattori cognitivi ed emotivi siano indispensabili per comprendere l’impatto reale di un’opera sull’esperienza individuale e collettiva.


Per superare tali ostacoli, occorre un impegno congiunto di accademici, ordini professionali, enti di formazione e operatori del settore. Integrare i principi della psicologia ambientale nelle linee guida progettuali consentirebbe di arricchire l’architettura contemporanea di elementi che rispondono alle esigenze cognitive ed emotive degli individui, senza rinunciare alle innovazioni tecniche ed energetiche.





Un cambio di paradigma

Il semplice pretesto di una passeggiata ha messo in luce un fatto macroscopico: le conoscenze sull’impatto di forme, materiali e cromie sul benessere umano – maturate in decenni di ricerche di psicologia ambientale – non trovano una traduzione sistematica nelle strategie progettuali di molti edifici di nuova realizzazione. Questo fenomeno, piuttosto diffuso a livello nazionale e internazionale, rappresenta una contraddizione evidente: da un lato si dispone di solide evidenze sul ruolo di elementi biofilici e sulla preferenza umana per una “complessità ordinata”, dall’altro si producono strutture monocromatiche e decontestualizzate, che spesso rispondono più a logiche di mercato che a considerazioni sul benessere degli abitanti.

Per colmare tale divario, non è sufficiente introdurre occasionalmente piante ornamentali o tinte vivaci: è necessario un cambio di paradigma che coinvolga la formazione universitaria, la normativa e la cultura progettuale. Un’architettura che si limiti a rispondere alle funzioni tecniche, ignorando la dimensione percettiva ed emotiva, rischia di generare ambienti alienanti e città prive di identità. Al contrario, un’integrazione consapevole dei principi di psicologia ambientale fin dalla fase ideativa può promuovere edifici esteticamente interessanti, salutari per gli utenti e capaci di arricchire in modo significativo il paesaggio urbano.


(Questa comparazione non deve essere intesa come un elogio di ogni edificio datato né come un rifiuto del linguaggio contemporaneo in architettura. La modernità non è necessariamente sinonimo di monotonia; molti progetti recenti dimostrano che è possibile coniugare stile attuale e principi di benessere ambientale, a patto di integrare le conoscenze sulle preferenze percettive sin dalle fasi iniziali di ideazione)

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