Ultrahuman Home: un'analisi critica tra dati ambientali e benessere
- Matteo Manzi

- 28 ago
- Tempo di lettura: 6 min

Nel mio lavoro sono necessarie competenze in molti ambiti diversi e il mio specifico approccio estremamente evidence-based mi impone non solo di rimanere costantemente aggiornato con gli studi più recenti in ambito di neuroarchitettura e psicologia ambientale, ma anche di avvalermi di una strumentazione che possa supportarmi nell’analisi ambientale.
Credo molto nel fattore umano e in un design partecipativo, quindi l’osservazione attenta e le interviste approfondite a coloro che vivono l’ambiente quotidianamente sono una parte imprescindibile, ma da questi passaggi, per quanto importanti, si possono ricavare solo dati qualitativi, ovvero non oggettivi. Per un metodo veramente evidence-based, servono anche dati quantitativi, ovvero dati oggettivi e insindacabili che solo la strumentazione può fornire.
Tipologia e quantità di dati sono molto importanti sia per accorgersi in modo immediato di alcuni macro-problemi (ed eventualmente di risolverli tempestivamente a seconda della gravità, della fattibilità e/o della non aderenza a norme specifiche) sia per una successiva analisi fattoriale e la verifica di eventuali correlazioni tra i dati in possesso.
Naturalmente ci sono varie tipologie di strumenti, non solo con caratteristiche e sensibilità diverse, ma anche per scopi e ambiti diversi. Ad esempio, molti di voi ormai conosceranno, e probabilmente stanno indossando in questo momento, qualche dispositivo wearable come smartwatch, smartband o smartring per il monitoraggio di alcuni parametri come la frequenza cardiaca (FC o HR), la variabilità di frequenza cardiaca (VFC o HVR), la saturazione dell’ossigeno nel sangue (SpO₂) e il monitoraggio della qualità del sonno (molto importante in ottica di biophilic & restorative design). Altri strumenti invece, forse meno conosciuti dai non addetti ai lavori riguardano i dati puramente ambientali e, dopo l’utilizzo da parte mia di diversi mesi, oggi parleremo proprio di uno di questi strumenti, ovvero Ultrahuman Home.
La mia esperienza con Ultrahuman Home
Ho deciso di provare questo specifico strumento in parte come novità sul mercato, in parte per la mole di dati che riesce a restituire, che lo collocherebbe potenzialmente in una fascia di mercato più tecnica e meno consumer per certi versi (ma poi vedremo che non sarà così), ma anche perché nella teoria (attualmente non è pienamente operativa) si interfaccia con la sua controparte wearable, ovvero Ultrahuman Ring Air, per una correlazione diretta tra i dati restituita dall’app proprietaria, e quindi potenzialmente ancora più interessante.
Le prime impressioni sono ottime, perché benché non sia estremamente piccolo (12cm x 12cm x 4,7cm) è comunque compatto, robusto e sufficientemente discreto. L’istallazione è immediata, perché basta collegarlo ad una presa di corrente nel luogo che si vuole monitorare (chiaramente in una posizione adeguata, quindi non in un angolo, o troppo in alto, ma idealmente ad altezza “operativa” di un essere umano). Nel mio caso ho voluto monitorare la camera da letto per cui era posizionato ad altezza comodino, ovvero altezza viso di una persona quando si corica a letto. Infine si scarica l’app e lo si aggiunge come dispositivo.

Cosa misura e perché è rilevante
Il dispositivo, per un utilizzo consumer, utilizza un punteggio globale dell’ambiente da 1 a 100, derivato a sua volta dai valori di macro-aree, ovvero: qualità dell’aria, comfort ambientale, esposizione alla luce, esposizione ai raggi UV. Ecco l’elenco dei parametri monitorati per ciascuna di queste macro-categorie:
Qualità dell’aria
HCHO – Formaldeide: composto rilasciato da mobili e materiali edilizi; irritante per occhi e vie respiratorie, classificato come cancerogeno.
CO – Monossido di carbonio: gas inodore e incolore che può essere letale in grandi quantità. Solitamente collegato alla combustione.
CO₂ – Anidride carbonica: indicatore di ventilazione; valori alti riducono attenzione, concentrazione e performance cognitive.
PM1.0: particolato molto fine; penetra in profondità nei polmoni, con effetti negativi su apparato respiratorio e cardiovascolare.
PM2.5: particolato fine, tra i più studiati; associato a patologie respiratorie, cardiovascolari e a peggioramento del benessere cognitivo, solitamente connesso a gas di scarico e emissioni industriali.
PM10: particolato più grossolano; causa irritazioni a vie respiratorie e occhi, soprattutto in soggetti sensibili.
VOC – Composti organici volatili: gas rilasciati da vernici, detergenti, materiali da costruzione; contribuiscono alla cosiddetta “sindrome dell’edificio malato”.
AQI – Air Quality Index: indice sintetico che combina più parametri per fornire una valutazione complessiva della qualità dell’aria.
Comfort ambientale
Temperatura: parametro essenziale per il comfort termico; valori troppo alti o bassi incidono su benessere, produttività e qualità del sonno.
Umidità: livelli ottimali riducono la proliferazione di muffe e virus e migliorano la percezione termica.
Rumore: espresso in decibel (dB); livelli eccessivi generano stress, disturbi del sonno e calo dell’attenzione.
Esposizione alla luce
Red (rosso): parte dello spettro visibile che incide sulla percezione visiva e sul comfort luminoso; in eccesso può causare abbagliamento o surriscaldamento.
Green (verde): influenza la resa visiva dei colori e contribuisce al bilanciamento cromatico complessivo della luce.
Blue (blu): componente luminosa che regola fortemente il ritmo circadiano; un eccesso serale può interferire con il sonno.
IR – Infrarosso: luce non visibile percepita come calore; in ambienti interni può contribuire al surriscaldamento e ridurre il comfort termico.
Esposizione ai raggi UV
UVA: radiazioni ultraviolette a lunghezza d’onda lunga; penetrano più in profondità nella pelle e sono legate all’invecchiamento cutaneo e al rischio di tumori.
UVB: radiazioni di media lunghezza d’onda; responsabili di eritemi e scottature, ma anche utili alla sintesi della vitamina D.
UVC: radiazioni corte, normalmente assorbite dall’atmosfera; se presenti indoor derivano da fonti artificiali (lampade germicide) e sono molto dannose.
Punti di forza e limiti dell'esperienza
Per quanto riguarda gli aspetti positivi, sicuramente c’è la presenza di una vastissima quantità di parametri monitorati (mancherebbe solo il radon), il design abbastanza discreto e comunque curato, la relativa facilità di lettura e di sintesi, con il valore complessivo che fa capire immediatamente la qualità generica dell’ambiente e la piacevolezza e chiarezza dell’interfaccia sull’app, elemento comunque da non sottovalutare.
Purtroppo a mio avviso ci sono numerose criticità, che rendono il prodotto quasi totalmente inadatto ad un ambito scientifico e alcune che lo potrebbero rendere anche poco adatto ad un ambito consumer:
Le problematiche più tecniche e oggettive:
Affidabilità e precisione dei dati: mancano informazioni chiare su sensori utilizzati, calibrazione e validazione scientifica dei sensori; non sempre è chiaro quanto i valori siano realmente confrontabili con strumenti professionali, servirebbe quantomeno una certificazione.
Assenza di esportazione dati: l’app mostra dashboard chiare ma non consente (o limita estremamente) l’export dei dati grezzi, rendendo difficile fare analisi avanzate o confronti longitudinali. Al momento è possibile in teoria solo attraverso l'API Partnership, ma dopo molti tentativi io comunque non sono riuscito a esportare niente.
Indice IR: L’indice IR mostrato dall’app è un buon indicatore pratico di irraggiamento percepito (quindi del possibile aumento della sensazione di calore), ma va interpretato come una misura qualitativa. Per questioni di salute o valutazioni tecniche servono misure radiometriche (irradianza in W/m²) o la temperatura radiante media (MRT).
Indice AQI: l’interpretazione suggerisce che non si tratti di un vero indice composito come quello utilizzato dalle autorità (US-EPA, CAQI ecc), bensì di un indicatore ricavato quasi esclusivamente dal PM 2.5. In questo modo, però, si rischia di avere due valori riassuntivi (l’AQI e il punteggio generale di qualità dell’aria), creando potenziale confusione per l’utente.
Temperatura: L’app mostra scale fisse per la temperatura (es. 20–23.9 °C = confortevole). Questo è operativo ma molto semplicistico: gli standard di comfort indicano che la temperatura accettabile dipende anche dalla temperatura esterna media (modello adattivo). Per questo 20 °C può essere perfetto in inverno ma percepito freddo in estate.
Umidità relativa: La sola percentuale di umidità relativa con una scala fissa è poco utile similmente alla temperatura: per interpretare il disagio o il rischio di muffa occorre combinare RH con la temperatura (o con il dew point). Ad esempio due ambienti con la stessa RH del 65% possono produrre sensazioni opposte se uno è a 30 °C e l’altro a 15 °C.
Aspetti meno significativi e “scientifici” ma che voglio condividere:
Chiusura al dialogo: mancanza di risposte da parte dell’azienda ai feedback e alle richieste di chiarimento; percezione di poca apertura alla community professionale. Una mancanza molto grave e problematica per la prassi lavorativa.
Riduzione a “gadget”: il linguaggio dell’app tende a semplificare molto (“sano”, “buono”, “moderato”) senza fornire intervalli numerici di riferimento scientifico e senza adattare le scale in base ad altri fattori importanti con il rischio di banalizzare fenomeni complessi.
Ecosistema chiuso: l’esperienza è vincolata esclusivamente all’app, non solo senza opzioni di personalizzazione approfondita (non è possibile vedere l’andamento della settimana o del mese, ma esclusivamente di giorno in giorno) e non c’è la possibilità di nessuna integrazione con altri ecosistemi (API, piattaforme di ricerca). Banalmente potrebbe integrarsi in un sistema IoT per aprire le finestre quando necessario, azionare la VMC, abbassare le tende, regolare il termostato o l’aria condizionata.

Il ruolo di questi strumenti
Il prodotto in definitiva, secondo la mia opinione personale, potrebbe ambire ad una collocazione professionale, ma a causa dei suddetti limiti rimane confinato solo ad un ambito consumer, con il contro che viene venduto ad un prezzo poco competitivo (579 euro) per quel mercato, che presenta altri prodotti forse più a fuoco con l’obiettivo preposto, che raccolgono una quantità minore di parametri, ma con un prezzo molto più accessibile, con anche la possibilità di integrazione con altri sistemi e una comoda esportazione dei dati.
Strumenti come Ultrahuman Home possono fornire una mole interessante di dati, ma non possono sostituire l’osservazione critica e la sensibilità che solo un professionista può offrire. La psicologia ambientale e il biophilic/restorative design permettono di andare oltre il dato grezzo, traducendolo in scelte progettuali che incidono realmente sul benessere cognitivo ed emotivo delle persone. Senza questo passaggio interpretativo, il rischio è che restino semplici gadget tecnologici, utili ma privi di una reale capacità trasformativa.







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