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Exposoma e design: come il progetto degli spazi può modellare la nostra salute

  • Immagine del redattore: Matteo Manzi
    Matteo Manzi
  • 29 mag
  • Tempo di lettura: 5 min

Illustrazione concettuale di un corpo umano circondato da fattori ambientali come inquinamento, verde urbano, luce naturale e microbi, integrati in un paesaggio architettonico.

Il concetto di exposoma è stato introdotto nel 2005 dall'epidemiologo Christopher Wild per descrivere l'insieme di tutte le esposizioni ambientali e comportamentali cui un individuo è sottoposto dalla nascita fino alla morte. A differenza del genoma, che resta relativamente stabile nel tempo, l'exposoma cambia continuamente e comprende ogni fattore esterno e interno che può influenzare la salute: dall'inquinamento atmosferico allo stress psicosociale, dall'alimentazione alla qualità dell'aria indoor. È quindi un concetto profondamente dinamico e individuale, che evolve nel tempo in funzione delle scelte di vita, del contesto socio-ambientale, dell'età e della biologia personale.


Gli studiosi distinguono tra exposoma esterno e exposoma interno. L’esterno si divide a sua volta in specifico (ad esempio, esposizione a pesticidi, radiazioni, inquinanti atmosferici, dieta, uso di farmaci) e generale (condizioni socioeconomiche, rete sociale, clima, ambiente urbano). L’exposoma interno include i processi biologici che mediano gli effetti di queste esposizioni: stress ossidativo, infiammazione cronica, metabolismo, disfunzioni endocrine, alterazioni del microbioma. Entrambi i domini interagiscono costantemente, dando origine a un sistema complesso e multilivello.


Negli ultimi anni, grazie a tecnologie come sensori ambientali smart, wearable, biomonitoraggio umano è diventato possibile mappare in modo più preciso l'exposoma individuale. Questo consente alla ricerca di identificare pattern di rischio prima invisibili, e alla sanità pubblica di sviluppare strategie preventive più mirate. Se il genoma ci dice di cosa siamo fatti, l'exposoma ci racconta ciò che ci accade nel tempo. Ed è spesso quest’ultimo a determinare l’insorgenza o meno di una malattia.


Un approccio proattivo alla salute


Studi su gemelli indicano che oltre il 70% del rischio di malattie croniche dipende da fattori ambientali o legati allo stile di vita, più che da fattori ereditari. Questo dato ribalta la visione tradizionale della medicina centrata sul DNA e sposta l'attenzione sul contesto in cui viviamo. Per prevenire efficacemente patologie come cancro, malattie cardiovascolari, diabete e disturbi neurodegenerativi, è quindi fondamentale individuare, misurare e controllare le esposizioni ambientali che contribuiscono al rischio complessivo.


Un esempio emblematico è dato da uno studio sul sangue di donne in gravidanza, dove l’analisi simultanea di diverse sostanze ha rivelato interazioni tossicologiche inattese. Composti apparentemente innocui, se presenti insieme, generano effetti avversi maggiori della somma dei singoli rischi. È il cosiddetto “effetto cocktail”. Questo fenomeno mette in luce l'importanza di superare l'approccio mono-espositivo e di adottare modelli di analisi sistemica, più aderenti alla complessità della realtà.


In questo senso, l'exposoma apre la strada a una sanità più proattiva e multidisciplinare. Non si tratta solo di curare le malattie conclamate, ma di agire prima che emergano, attraverso politiche pubbliche integrate: urbanistica, trasporti, edilizia, istruzione e alimentazione devono diventare strumenti di prevenzione. La salute, dunque, non si costruisce solo negli ospedali ma anche nelle scuole, nei parchi, nei quartieri e negli uffici.


Spazio interno progettato secondo i principi del design biofilico, con materiali naturali, piante, ampie finestre e luce naturale diffusa.

L'exposoma urbano e il ruolo del progetto


In un contesto urbano caratterizzato da aria inquinata, rumore da traffico, isole di calore e scarsità di spazi verdi, gli abitanti presentano un exposoma carico di fattori di rischio. Uno studio del 2023 sulla rete europea EHEN descrive l'"exposoma urbano" come tutto ciò a cui le persone sono esposte nelle città: non solo inquinamento e rumore, ma anche accesso al verde, qualità delle abitazioni, design dello spazio pubblico, mobilità, coesione sociale. È un cambio di prospettiva importante: i fattori positivi entrano finalmente nell’analisi al pari di quelli negativi.


All’interno di questo quadro, il progetto può diventare uno strumento di “controllo intenzionale dell’exposoma”: selezionare materiali da costruzione che non rilascino sostanze tossiche (o che assorbano inquinanti), progettare sistemi HVAC efficienti per mantenere una buona qualità dell'aria e umidità ottimale, preferire finiture e arredi che non favoriscano l’accumulo di polvere o la proliferazione di patogeni. Alcune ricerche propongono addirittura di “ingegnerizzare” il microbioma indoor, ovvero creare condizioni favorevoli alla presenza di microbi benefici attraverso l’uso di piante, ventilazione naturale controllata, superfici trattate in modo selettivo e adottare una pratica di pulizia meno "igienizzante".


Persona scalza in un interno moderno e naturale, con finestre aperte, luce calda e vegetazione, simbolo di equilibrio tra ambiente costruito e natura.

Microbioma e porosità dell’edificio


Un filone di ricerca in crescita riguarda proprio il microbioma negli edifici. Ambienti troppo sigillati e privi di connessione con la natura riducono drasticamente l’ingresso di microbi ambientali potenzialmente benefici. In assenza di ventilazione naturale o di elementi vegetali, l’ambiente indoor si popola quasi esclusivamente di microbi umani e di quelli rilasciati dai materiali sintetici. Questo impoverisce la biodiversità microbica e può contribuire alla diffusione di agenti patogeni opportunisti e all'insorgenza sempre più diffusa di allergie e intolleranze.


Uno studio pubblicato su PNAS nel 2024 propone di riallineare la “porosità” dell’ambiente costruito, ovvero la sua capacità di scambiare elementi con l’esterno in modo controllato. Aprire le finestre in modo mirato, introdurre piante da interno, lasciar entrare aria e microbi del suolo senza compromettere la salubrità generale, significa restituire all’edificio una funzione filtrante e nutriente. Il design biofilico, in questo senso, promuove un’architettura che non isola, ma connette: l’edificio diventa un secondo involucro cutaneo, permeabile agli stimoli naturali e protettivo verso quelli nocivi.


Simulazione digitale di una città affiancata a un quartiere reale progettato per la salute, con parchi, piste ciclabili e edifici sostenibili.

Strumenti digitali per ambienti più sani


Parallelamente, emergono strumenti digitali per collegare l’exposoma alle decisioni progettuali. Il gruppo del prof. Roel Vermeulen ha sviluppato modelli di "digital twin" delle città: vere e proprie simulazioni urbane, popolate da cittadini virtuali con caratteristiche demografiche e sanitarie realistiche. In questi ambienti digitali è possibile testare l’effetto di interventi urbanistici (creazione di parchi, nuove reti di trasporto, modifiche edilizie) sull’exposoma e sulla salute della popolazione.

Questa possibilità di “sperimentare prima di costruire” consente di coinvolgere cittadini e progettisti in un processo di co-creazione basato su evidenze scientifiche. È un approccio che unisce urbanistica, epidemiologia e scienze computazionali, e che dimostra quanto la qualità del progetto possa incidere sulla salute pubblica.


Design biofilico e salutogenico


Anche qui quindi risulta evidente come integrare elementi naturali negli spazi costruiti non sia solo una questione estetica, ma un mezzo per ridurre lo stress, migliorare la concentrazione, regolare i ritmi biologici e stimolare il benessere. Il design restaurativo, affiancandosi a questa visione, si concentra sulla rigenerazione cognitiva ed emotiva: ambienti pensati per favorire il recupero dell’attenzione e la riduzione del carico mentale.


Questi approcci progettuali sono strumenti pratici per modulare l’exposoma: da un lato riducono l’esposizione a fattori nocivi (inquinanti, stressori, rumore), dall’altro promuovono esposizioni positive (biodiversità, luce naturale, contatto con il verde, comfort sensoriale). Esistono ormai numerose evidenze che collegano l’architettura biofilica a esiti sanitari misurabili: meno assenteismo nei luoghi di lavoro, miglior recupero nei reparti ospedalieri, migliori prestazioni cognitive negli ambienti educativi.


Illustrazione stilizzata dell’exposoma che mostra fattori esterni (cibo, ambiente, stress) e risposte interne (infiammazione, microbioma) in un corpo umano.

Esempi concreti di progettazione orientata all’exposoma


  • Realizzare aree verdi diffuse, visibili e accessibili a ogni cittadino, che offrano benefici multisensoriali (vista, suono, odore) e un microbioma ricco e diversificato.

  • Progettare edifici con materiali certificati a basse emissioni, filtraggio dell’aria efficace, controllo dell’umidità e del comfort acustico.

  • Creare ambienti di lavoro o studio con luce naturale, zone di decompressione e viste esterne, favorendo la riduzione dello stress e della fatica mentale.

  • Integrare corridoi ecologici e più percorsi ciclopedonali per promuovere la mobilità attiva, la socialità e l’esercizio fisico quotidiano.

  • Ridurre l’inquinamento visivo e acustico attraverso soluzioni architettoniche, barriere verdi esternamente, pannelli fonoassorbenti internamente e scelte di design armoniche.

  • Incorporare sensori per monitorare qualità dell’aria, livelli di CO₂, temperatura e umidità, intensità luminosa, livello di rumore, favorendo una gestione dinamica dello spazio.


Progettare ambienti protettivi e salutogenici


In definitiva, design biofilico e design restaurativo emergono come alleati naturali del concetto di exposoma. Se l'exposoma ci dice che la somma delle esposizioni determina gran parte della nostra salute, il design è uno strumento per modellare intenzionalmente queste esposizioni. Ogni scelta progettuale può essere valutata in termini di come incide sull'exposoma umano. Adottare una prospettiva exposomica in architettura e urbanistica significa progettare ambienti protettivi e salutogenici, che riducono i fattori di rischio (inquinanti, stressori, isolamento) e potenziano i fattori protettivi (natura, attività, socialità, comfort). La ricerca scientifica supporta questo approccio integrato: città più verdi e vivibili mostrano migliori indicatori di salute pubblica, edifici ben progettati possono diminuire incidenza di sintomi da Sick Building Syndrome, e spazi restaurativi aiutano a prevenire il burnout e altre patologie legate allo stress.

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