Adattamento allostatico e ristoratività: perché la natura non funziona per tutti allo stesso modo
- Matteo Manzi
- 5 giu
- Tempo di lettura: 4 min

Ieri mi sono imbattuto nello studio di Yu et al. (2020), che mi ha fatto riflettere: dopo appena dieci minuti di esposizione a un ambiente naturale virtuale, persone di mezza età dichiaravano di sentirsi molto più rilassate, ma nessun parametro fisiologico, come la frequenza cardiaca (HR, Heart Rate) o la variabilità della frequenza cardiaca (HRV, Heart Rate Variability), mostrava variazioni significative rispetto a un ambiente urbano virtuale. Nemmeno le prestazioni attentive erano migliorate. Questo risultato contraddice quanto generalmente riportato dalla letteratura in materia di ristoratività, ovvero che anche brevi esperienze nella natura (visioni di immagini per pochi secondi), persino virtuali, possono indurre benefici fisiologici tangibili. Questo paradosso mi ha portato a riflettere più a fondo sui possibili bias e limiti in questo studio specifico e più in generale sul concetto di adattamento allostatico, una possibile chiave interpretativa per comprendere tali risultati.
Allostasi e adattamento allostatico: cosa sono?
L'allostasi è la capacità dell’organismo di mantenere una stabilità interna adattandosi in modo dinamico agli stress ambientali. Quando però questi stress si ripetono troppo spesso o durano a lungo, il corpo inizia ad adattarsi aumentando progressivamente il livello basale di attivazione fisiologica, generando così quello che viene definito "carico allostatico". In termini semplici, se viviamo per anni in ambienti rumorosi, affollati e stressanti come una grande città, il nostro corpo finisce per considerare questa condizione come la norma. Di conseguenza, quando ci concediamo brevi pause in ambienti rilassanti, il corpo potrebbe non riuscire più a "spegnere" immediatamente questa condizione di stress, perché si è adattato a mantenere una baseline più alta.

Cosa ci insegna lo studio di Yu?
Lo studio di Yu et al. ha coinvolto 34 persone, mediamente di 59 anni, abitanti di città. Ognuna ha sperimentato brevi esposizioni (10 minuti) a scenari virtuali: prima una città, poi una foresta, oppure viceversa, con misurazioni pre e post. Sebbene i partecipanti abbiano riferito (attraverso questionari) di sentirsi molto più rilassati nella foresta virtuale, gli strumenti di misurazione fisiologica non hanno rilevato cambiamenti significativi e nemmeno nelle prestazioni di attenzione. Perché?
In questi esperimenti la variabili sono davvero molte e quindi le spiegazioni dei risultati altrettante. Una delle possibili spiegazioni è appunto che il corpo dei partecipanti fosse già adattato, per via della lunga esposizione a stress cittadini, a un livello basale di attivazione troppo alto. Inoltre l’età media relativamente elevata dei partecipanti (circa 60 anni) potrebbe aver ridotto la capacità del loro sistema nervoso autonomo di reagire rapidamente a stimoli rilassanti brevi.
Un altro fattore determinante potrebbe essere stata la modalità di esposizione: utilizzare un visore VR economico potrebbe aver indotto un certo disagio vestibolare (disturbo che colpisce l'orecchio interno e la capacità del cervello di elaborare informazioni sensoriali relative all'equilibrio e all'orientamento spaziale), annullando così gli eventuali benefici fisiologici della scena naturale. Infine, la misura fisiologica utilizzata (SDNN, cioè la deviazione standard degli intervalli tra battiti cardiaci) potrebbe non essere stata sufficientemente sensibile per rilevare piccole variazioni che effettivamente potrebbero esserci state. Un'altra criticità potrebbe essere stata l'assenza di un vero affaticamento attentivo preliminare: se i partecipanti non sono realmente stanchi o stressati all’inizio dell’esperimento, difficilmente si noterà un marcato effetto rigenerativo (a volte questo viene utilizzato per "potenziare" i risultati e banalmente voler confermare le proprie tesi di partenza, ma in ottica più pratica c'è effettivamente un sensibilità maggiore).
Micro-pause rigenerative e bias di campionamento
Esistono altri studi che dimostrano chiaramente benefici da esposizioni molto brevi alla natura. Per esempio, appena 40 secondi di visione di un tetto verde migliorano la precisione nei compiti attentivi in studenti universitari (Lee, K. E., et al. 2015); tre minuti di visione di immagini naturali possono aumentare significativamente la componente ad alta frequenza della HRV in persone con sintomi ansiosi o depressivi. Il punto cruciale sta nel tipo di partecipanti: spesso si tratta di soggetti giovani o con un livello di stress cronico inferiore. In pratica, il loro sistema nervoso è ancora sufficientemente flessibile per reagire rapidamente e significativamente anche a stimoli molto brevi. La maggior parte degli studi che confrontano scenari naturali e urbani virtuali coinvolge infatti studenti universitari di età compresa tra i 18 e i 25 anni. Questi soggetti sono spesso più sensibili agli stimoli ambientali e quindi possono mostrare risposte fisiologiche più immediate e evidenti. Questo porta a una possibile sovrastima dei benefici delle brevi esposizioni alla natura, benefici che potrebbero non essere ugualmente evidenti in popolazioni più anziane e/o cronicamente stressate.

La direzione futura della ricerca
Come in realtà gia scrivono in molti studi, soprattutto esteri, serve una ricerca più completa e inclusiva. In particolare, sarebbe cruciale condurre studi comparativi che coinvolgano sia giovani adulti che anziani, sottoposti alla stessa procedura sperimentale. Sarebbe altrettanto importante introdurre un pre-stress standardizzato e ben definito, come ad esempio compiti cognitivi impegnativi per misurare chiaramente il recupero post-stress.
Fondamentale, inoltre, l’utilizzo di marker fisiologici più sofisticati e sensibili. Misure quali la componente ad alta frequenza della HRV, il rapporto tra bassa e alta frequenza, il cortisolo salivare o l’EEG con misurazione delle onde alfa frontali, potrebbero rivelare variazioni che restano invisibili con indicatori più grossolani.
Infine, bisognerebbe esplorare più a fondo gli effetti di una routine di micro-pause verdi integrate nella vita quotidiana per periodi prolungati, per valutare se, con il tempo, anche organismi cronicamente stressati possono tornare a livelli più salutari con un'esposizione regolare al "verde".
Conclusioni
Lo studio di Yu et al. non mina l’importanza della natura per il benessere psicofisiologico, ma piuttosto evidenzia che non tutti rispondono allo stesso modo alla "pillola verde". Se il nostro organismo ha trascorso anni adattandosi a un ambiente urbano stressante, brevi esposizioni virtuali alla natura possono certamente migliorare il nostro stato mentale soggettivo, ma potrebbero non bastare a produrre cambiamenti fisiologici significativi. Prima di applicare universalmente le conclusioni di studi condotti su giovani adulti, è cruciale che la ricerca includa popolazioni più varie e strumenti più sensibili, in modo da poter realmente capire quanta e quale "dose" di natura serve affinché tutti possano beneficiarne.
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